Contrariamente alla maggior parte della gente che reputa settembre un momento di triste ritorno alla realtà, per me questo è uno dei mesi preferiti con tutta la magia dei nuovi inizi, i colori che amo di più a dipingere le strade, il desiderio di interiorità, di casa e di tepore che tornano a farmi compagnia.
Normalmente al mattino dormo, quando posso o vado a lavorare, quando devo.
Oggi, invece, anche se me ne sarei restata a poltrire sotto al piumone leggero in attesa di dover iniziare il lavoro, una serie di noiose questioni mi hanno obbligata a scendere dal letto.
In realtà, a parte il dramma nello scoprire di aver finito il caffè, la mattinata mi ha regalato piacevoli sorprese.
Vivere la città di mattino presto ha un fascino tutto suo.
Un fascino che ha la bellezza della vita semplice di quartiere, quella che si snoda tra i bar frequentati dagli avventori abituali (il barista, custode di segreti e pettegolezzi è una figura mitica a metà tra un sacerdote, un amico e uno psicologo. Li conosce tutti i suo clienti, uno per uno e salutandoli quotidianamente per nome rinnova con loro un legame stretto, rinsalda un patto sottinteso fatto di commenti sussurrati e sguardi eloquenti davanti al caffè macchiato o al ristretto di ogni giorno) e i piccoli negozi che ancora sopravvivono al feroce avvento dei grandi centri commerciali, non luoghi privi d'identità disseminati un po' ovunque.
Mi piace osservare le facce di chi siede ai tavolini mentre bevo senza fretta un caffè, spiare gli anziani che tornano dal mercato coi loro carrelli della spesa pieni, il nonno con il nipote per mano, la fila interminabile alla posta, il ragazzo riccio tatuato che pulisce i vetri di un portone, il postino con il gilet giallo fluorescente.
Mi piacciono le bici appoggiate ai pali in attesa di qualcuno che le porti a fare un giro, chi cerca parcheggio senza esito, la farmacista che fuma una sigaretta davanti alla sua vetrina piena di prodotti per smettere di fumare.
Mi piace la quotidianità, perché è lì che giace lo straordinario.
No, non è questo che ci soffoca facendoci cadere nel circolo vizioso e annichilente dell'abitudine.
L'abitudine può essere poetica se non diventa scusa per fermarsi.
Mi piacciono le piccole cose, quelle che nessuno nota, quelle che per gli altri sono ovvie, scontate, invisibili.
Amo restituire loro l'importanza che hanno, perché in fondo, la felicità è fatta di cose semplici e sempre di più ne sono convinta.
Bevo il mio caffè, pensando a tutto questo.
E mi sento bene.
Senza motivi apparenti.