martedì 26 settembre 2017

Giorno centootto: la mattina ha l'oro in bocca.

Autunno nel cielo grigiastro e nelle prime foglie che adornano i marciapiedi.
Contrariamente alla maggior parte della gente che reputa settembre un momento di triste ritorno alla realtà, per me questo è uno dei mesi preferiti con tutta la magia dei nuovi inizi, i colori che amo di più a dipingere le strade, il desiderio di interiorità, di casa e di tepore che tornano a farmi compagnia.

Normalmente al mattino dormo, quando posso o vado a lavorare, quando devo.

Oggi, invece, anche se me ne sarei restata a poltrire sotto al piumone leggero in attesa di dover iniziare il lavoro, una serie di noiose questioni mi hanno obbligata a scendere dal letto.
In realtà, a parte il dramma nello scoprire di aver finito il caffè, la mattinata mi ha regalato piacevoli sorprese.

Vivere la città di mattino presto ha un fascino tutto suo.
Un fascino che ha la bellezza della vita semplice di quartiere, quella che si snoda tra i bar frequentati dagli avventori abituali (il barista, custode di segreti e pettegolezzi è una figura mitica a metà tra un sacerdote, un amico e uno psicologo. Li conosce tutti i suo clienti, uno per uno e salutandoli quotidianamente per nome rinnova con loro un legame stretto, rinsalda un patto sottinteso fatto di commenti sussurrati e sguardi eloquenti davanti al caffè macchiato o al ristretto di ogni giorno) e i piccoli negozi che ancora sopravvivono al feroce avvento dei grandi centri commerciali, non luoghi privi d'identità disseminati un po' ovunque.
Mi piace osservare le facce di chi siede ai tavolini mentre bevo senza fretta un caffè, spiare gli anziani che tornano dal mercato coi loro carrelli della spesa pieni, il nonno con il nipote per mano, la fila interminabile alla posta, il ragazzo riccio tatuato che pulisce i vetri di un portone, il postino con il gilet giallo fluorescente. 
Mi piacciono le bici appoggiate ai pali in attesa di qualcuno che le porti a fare un giro, chi cerca parcheggio senza esito, la farmacista che fuma una sigaretta davanti alla sua vetrina piena di prodotti per smettere di fumare.

Mi piace la quotidianità, perché è lì che giace lo straordinario.
No, non è questo che ci soffoca facendoci cadere nel circolo vizioso e annichilente dell'abitudine. 
L'abitudine può essere poetica se non diventa scusa per fermarsi. 
Mi piacciono le piccole cose, quelle che nessuno nota, quelle che per gli altri sono ovvie, scontate, invisibili.
Amo restituire loro l'importanza che hanno, perché in fondo, la felicità è fatta di cose semplici e sempre di più ne sono convinta.

Bevo il mio caffè, pensando a tutto questo.
E mi sento bene. 
Senza motivi apparenti.








venerdì 1 settembre 2017

Giorno centosette: primo settembre.

Mi piacciono le gambe abbronzate di settembre e gli uomini che hanno il coraggio di non depilarsele,
mi piace il gelato crema di riso e pistacchio che prometto sempre a me stessa di non mangiare un giorno sì e l'altro pure, ovviamente senza tener fede alla mia promessa,
mi piace la luce netta di fine estate che taglia gli spazi dividendoli in infinite e fantasiose geometrie inusuali,
mi piacciono gli sconosciuti che leggono sulle panchine, quelli che leggono sugli autobus, quelli che leggono sotto gli alberi,
mi piacciono quelli che leggono,
ovunque,
mi piace pensare che settembre è tornato vestito da capodanno, come se davvero tutto dovesse ancora iniziare,
come se ogni cosa fosse da definire,
da scrivere,
da inventare,
mi piace tornare, ricominciare, prepararmi, immaginare ciò che verrà,
mi piace iniziare di nuovo ad andare a yoga, riprendere la piscina, accarezzare progetti che puntualmente resteranno tali ed imbastirne di nuovi che invece vedrò lentamente prendere forma,
mi piace perdermi nella mia città e nel perdermi trovarmi di fronte l'inattesa bellezza di un muro disegnato, mi piace non essere certa nel mio andare, perché nell'estrema sicurezza si cela l'impossibilità di inciampare, sperdersi, scoprire.

E mi guardo intorno
e mi accorgo che la mia vita è bella così com'è,
che io vado bene,
così come sono,
imperfetta,
inconcludente, sempre pronta a rimandare,
disorganizzata,
distratta,
ma anche sempre fedele alla mia meraviglia, per citare parole di Qualcuno che le sapeva usare nel modo giusto
e che forse,
in realtà,
tutto questa storia che l'amore, la coppia, la stabilità sentimentale, rappresentino la felicità estrema,
la sola felicità possibile e perfetta,
inizia a sembrarmi un po' una farsa messa su per calmare gli animi,
per anestetizzare i cuori,
per stabilire un ordine preconfezionato da rispettare senza desiderarlo davvero (o desiderandolo, in alcuni casi, o ancora sentendo la necessità di essere come tutti, per poi finire a camminare annoiati uno di fianco all'altro ma senza nemmeno ascoltarsi).

Io forse sono fatta per cose diverse,
imperfette,
incomplete,
strambe,
sottosopra,
che a raccontarle sembro una ragazzina,
che chi mi ascolta a volte sgrana gli occhi: " A te le cose normali non piacciono"?
E certo che mi piacciono, mi piacciono le cose semplici e lineari, le cose autentiche, ma straordinarie.
E a volte questo viene scambiato per infantilismo,
qualcuno pensa che io non voglia crescere,
ma per me è solo, ancora e di nuovo, restare fedele alla mia meraviglia,
rispondere solo al mio modo di essere,
restare vicina a quello che sono.
A costo di continuare a camminare sola sotto la bellissima luce di questo nuovo inizio.

Settembre ritorna,
dopo un Agosto di bianco e blu, di sale e ocra, di passi tra i vicoli, di bicchieri infranti, di parole lontane, di abbracci che mancano, di "noi" inattesi, di buoni propositi che questa volta ho deciso di abbandonare.

Mi sa davvero che va bene così.
Inaspettatamente.