martedì 11 settembre 2018

Giorno cento tredici: la caffettiera della sera prima (ovvero i soliti buoni propositi di settembre).

La luce di Settembre è la più bella, è quella perfetta per tornare a vivere.

Sono una creatura autunnale.

Mi piace la dolcezza con cui i colori diventano più tenui perdendo la sfacciataggine soffocante e gridata di Agosto, mi piace tirar fuori dall'armadio il golfino per i primi freddi delle otto di mattina, guardarmi intorno e vedere che ogni cosa si sta preparando per tornare a riposare, a raccogliersi, a chiudersi in un pomeriggio caldo sotto il plaid a leggere o guardare film.

E come ogni Settembre  - ennesimo atteso capodanno- metto un punto e vado a capo.

A settembre poto rami, chiudo situazioni, ne apro di nuove.

L'autunno è per me il momento in cui torno a guardami dentro, a fare il punto della situazione, a fare liste, tante liste, di cose da fare.
Ecco, dalle esperienze passate ho imparato che con le liste dei buoni propositi non bisogna esagerare, non bisogna farne troppe e che soprattutto gli obiettivi devono essere chiari, pochi e raggiungibili.

Così anche questo settembre ho stilato la mia banalissima lista delle cose da fare che suona più o meno così:

- ricordarsi di preparare la caffettiera per il giorno seguente prima di andare a dormire
-tornare a dedicare del tempo alle cose che amo come la scrittura e la fotografia
-possibilmente provare a farne se non un lavoro, qualcosa di simile
-trovare tempo per andare in piscina
-non perdermi di vista.

Tra tutti questi buoni propositi, i più importanti sono certamente il primo e l'ultimo.
Il primo, in primis (non per niente apre la lista)!

Ho sempre un grande entusiasmo per le cose che cominciano, ho mille idee, vivo come ubriaca di passione i primi momenti in cui l'intuizione creativa si affaccia sulla soglia del cuore, ma poi poco per volta perdo lo stimolo, sono inconcludente e i miei sogni rimangono nel cassetto a far la muffa.
Ecco, questo non vorrei più che accadesse.
Perché i sogni vanno custoditi, alimentati e poi devono prender forma e per renderli tangibili serve tanta costanza, ciò che in assoluto mi manca.
Sono disorganizzata, inconcludente e regina della procrastinazione, questa è la peggior malattia che affligge il mio sistema creativo, il morbo che uccide l'artista che è in me.
Devo imparare a prendermi cura delle mie idee a non abbandonarle dopo averle intraviste splendermi davanti, devo imparare l'abitudine e l'assiduità.
Così mi sottopongo a questo piccolo esercizio quotidiano: mi preparo la caffettiera per la mattina successiva.
Pare una sciocchezza, eppure a me costa la stessa fatica che costava a Sisifo riportare su per la montagna il suo pesantissimo masso.

Sull'ultimo punto c'è ben poco da dire.
L'ultimo punto si nutre della forza che scaturisce dal primo: imparare la costanza, smettere di precludermi opportunità, credere di più nei miei doni, essere la mia priorità.

Sempre.
(Almeno fino alla prossima lista).






lunedì 16 aprile 2018

Giorno centododici: il cielo.

Giorno centododici.
Questa mattina ho aperto le imposte e ho sorriso nel ritrovare il cielo, dopo giorni di grigio e assenza di colore.

Sono metereopatica e purtroppo vivo in un posto dove il clima non è molto clemente.
Ma di una cosa mi sto accorgendo: a volte il grigio lo vediamo noi, anche quando non c'è.

Voltandomi, ho incontrato il mio viso nello specchio e mi è scappato un sorriso.
Già, per la prima volta dopo qualche giorno malinconico.
Quel sorriso era per me, prima che per chiunque altro, perché ho capito che è arrivato il momento di crescere, di scegliere di fidarsi, di abbandonarsi, ho capito che il passato non deve più avere il potere di rovinare il presente.

Viviamo qui, adesso e questo è tutto ciò che abbiamo.
Siamo distratti, ce ne dimentichiamo spesso.
Ma non è poco.

lI cielo di questa mattina mi ha ricordato che anche i gomitoli di fumo più nero possono dissolversi se solo noi sappiamo vedere oltre, se solo riusciamo a lasciarci andare ed esser grati per quello che abbiamo, invece di ossessionarci con quello che ci manca o che presumiamo ci manchi.

Così, con questo pensiero lieve, ho incontrato di nuovo il mio viso nello specchio del bagno e stavolta ho sorriso, ma a tutte quelle persone speciali che mi sanno stare accanto nonostante le mie imperfezione e fragilità.
È anche grazie a loro se oggi posso dire di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo su di me ed è la loro presenza che mi aiuta a rialzarmi quando cado.
Non è facile essere all'altezza dei nostri sogni, però ce lo dobbiamo.

Ho indossato il cappotto rosso e attraversato la strada con un colore nuovo negli occhi.
Nel cammino verso il lavoro i primi boccioli di un verde tenero iniziano ad affacciarsi sui rami ancora spogli: è la forza di ciò che torna a riempire di vita i vuoti dell'inverno.

Basta aprirsi ed accogliere quello che arriva.

Il cielo questa mattina mi sussurrava questo: sorridi, non hai motivo di temere la primavera.

                                 
https://www.youtube.com/watch?v=_xQdgjq5P6s




giovedì 4 gennaio 2018

Giorno centoundici: enjoy the silence.

Quattro Gennaio Duemiladiciotto.

Ho sempre amato i numeri pari, li trovo armoniosi, eleganti, perfetti.

Quattro gennaio, potrebbe essere quello di un anno qualunque, in realtà: stessi pomeriggi passati a giocare su un tavolo da cucina, stesse cene infinite e passeggiate intorno a casa per tornare a respirare, stessi regali scartati e lasciati a farmi compagnia sul tavolino del soggiorno per un po', così, per il gusto di avere qualcosa di nuovo davanti agli occhi. Spesso si tratta di libri, a volte sono quaderni, collane o sciarpe.

Quattro gennaio, il freddo che si insinua sotto la gonna e la voglia che sia subito primavera, che di nebbia e cieli uggiosi ne hai abbastanza.
Il primo vento profumato di cambiamento.
La lista dei buoni propositi -che quest'anno ho saltato fingendo di essermene scordata-, la sera di capodanno con gli amici, le promesse a noi stessi che questa volta saremo migliori, il vino, le risate.

Ogni anno soffro di una specie di sindrome da festività: dopo l'euforia indotta arriva inevitabilmente il senso di vuoto lasciato dalle cose che finiscono e la voglia di colmarlo con qualcosa.

Pensavo, riflettevo: a volte la felicità può far paura.
Può far paura perché non ce la ricordavamo,
perché non ci siamo più abituati,
perché temiamo che finisca da un momento all'altro.

Ma a poco, anzi a nulla, serve tentare di mettere il cuore al sicuro.

Non resta che respirarla tutta, berla in un sorso, gustarla sul palato prima di mandarla giù.

Quest'anno la mia felicità ha un sapore diverso, ha il sapore delle cose non dette.

Proprio così, perché le cose non dette, di solito, sono pesanti fardelli che ci portiamo dentro, sono bocconi amari che scegliamo di gustare da soli avvelenandoci di tutto il loro orribile sapore, sono muri invalicabili che ci allontano in maniera spesso irreversibile.

Di solito.

Altre volte,

invece,

come questa volta,
sono cose preziose e per questo fragili.

Sono un regalo che facciamo a noi stessi.
Cose troppo belle per parlarne,
piccole magie che vogliamo accarezzare in segreto,
senza il bisogno di urlarle a nessun altro.

Oggi è una cosa bella quella di cui vorrei non parlare, su questa pagina.

In fondo è così importante dire qualsiasi cosa di sé?
Non è forse più importante vivere, semplicemente gustarsi fino in fondo ogni piccola felicità inattesa?
Certo, forse appare una riflessione bizzarra su una pagina il cui intento era quello di attaccare piccoli post it di qualche riga per ricordarsi che la felicità è una cosa semplice, fatta di piccolezze.

Bizzarra, ma non insensata.

Questa volta, il mio motivo di felicità lo voglio tacere.

Da qualche tempo sorrido come non accadeva da tempo.

Ho ricevuto un paio di orecchini che hanno una storia e le cose con una storia, sono le mie preferite.
Forse è per questo che mentre cammino cerco piccoli segni sull'asfalto, inciampo in pezzi di fogli scritti a mano o in cuori nascosti in pietre e foglie, frecce che mi suggeriscono la strada.
Lo sa chi mi conosce bene o lo sa anche chi mi sta conoscendo adesso e ha occhi aperti capaci di guardare.
Quando li indosso, non posso che pensare a quanto a volte la vita faccia mille giri e poi ci dia le risposte giuste, quelle che aspettavamo da tempo, sempre nel momento in cui ormai avevamo perso la forza per continuare a farci delle domande.

E così gli ultimi giorni dell'anno che si è appena chiuso, sono scivolati leggeri, scaldati dal tepore di questa certezza, sono stati giorni strani e felici.
Mentre l'anno nuovo si è aperto con il vento freddo sui colori del mare, quelli che amo più di tutto.
La spiaggia deserta ha un sapore diverso da ogni altra cosa: qualcuno lo trova malinconico, per me è semplicemente stupore dinnanzi alla bellezza.

E stupore è la sensazione che voglio custodire in questo inizio di anno, stupore e silenzio, tentando di scordare l'amaro del dopo festa.

Che sia un anno pieno di Vita e senza paura di danzare, che le ombre siano solo zone di contrasto per accendere ulteriormente lo splendore della luce, che ogni attimo sia vissuto nello stupore continuo.

Parole non dette come nuvole che corrono veloci dal finestrino del treno, come colori che si accendono improvvisi sotto un cielo minaccioso, come galleggiare impauriti su nel cielo grazie a una giostra, come un piccolo segreto custodito per non rovinarlo.

E anche un po' per scaramanzia,
forse.


https://www.youtube.com/watch?v=aGSKrC7dGcY