domenica 16 febbraio 2025

Alfonso 1938 (giorno centodiciannove)

Alfonso 1938, così dice la scritta sulla t-shirt blu. 

Dentro quella maglietta un anziano ricurvo di ottantasette anni: capelli bianchi, andatura incerta eppure costante. Sembra fragilissimo, di vetro e sembra poter cadere da un momento all'altro. Invece i suoi piedi sono ben saldi per terra e un passo dopo l'altro pare non avvertire i chilometri che si sommano. 

Ho incontrato Alfonso al mio "debutto" nel mondo della corsa, poco più di un anno fa: prima di allora ero una di quelle persone che pensavano che correre non facesse per me. Ho scoperto tardi lo sport, sono stata una bambina senza danza (e si vede nella mia poca coordinazione), senza nuoto (ho imparato a nuotare a trentatré anni) o ginnastica ritmica. Mentre le mie amiche facevano i saggi, io stavo a casa a scrivere poesie e leggere libri (il cartolaio del mio quartiere sosteneva che il giorno in cui avessi smesso di comprare i libri da lui, il negozio avrebbe chiuso): lo so, suona un po' Leopardiano, peccato non poter vantare il suo genio nello scrivere versi, però. Poi, non so come mai, un giorno ho pensato che sarebbe stato interessante fare un salto nel vuoto e uscendo dalla mia zona di confort provare qualcosa di diverso; il caso ha voluto che m'imbattessi in un incredibile gruppo di corsa di sole donne e la mia stramba sperimentazione ha avuto inizio. 

La prima volta che corri hai la certezza che morirai dopo qualche metro. Il corpo non è abituato a uno sforzo costante e così prolungato anche se io m'illudevo di essere allenata perché ho sempre camminato molto (pratica che spesso mi allontana dalle persone che non riescono a capirne il motivo). Tuttavia, poco alla volta il cuore sembra adattarsi allo sforzo e i polmoni imparano a fare il loro lavoro. 

All'inizio correvo in silenzio, non ero in grado di parlare. Correvo alternando i minuti di corsi a quelli di camminata veloce e mi chiedevo come facessero gli altri -tutte quelle persone che incrociavo- a correre senza mai fermarsi, per dieci, venti, trenta minuti di seguito o magari anche di più. Curioso e sorprendente scoprire che da lì a poco sarei riuscita a farlo anche io. 

La prima cosa che la corsa mi ha insegnato è che in moltissimi casi i limiti che abbiamo (o crediamo di avere) li creiamo proprio noi. Mentre macinavo i miei primi minuti di corsa (che poco alla volta diventavano sempre di più) scoprivo che la mia testa diceva "non puoi" mentre il mio corpo, sorprendendomi, mi chiedeva di continuare sempre un po' di più. E così, a forza di uscire ad allenarmi, anche con il freddo, con la pioggia, anche quando la stanchezza della giornata sembra volermi legare al divano, ho scoperto che per crescere e migliorare in qualcosa è necessario mettersi alla prova e spostare sempre un po' di più l'asticella della competizione con noi stessi. Per creare un'abitudine ci vogliono mesi, costanza e disciplina, ma una volta che qualcosa ti entra dentro è molto difficile smettere, soprattutto quando la sensazione che provi dopo la fatica è l'euforia.

Oggi ho corso la mia quinta o sesta gara, o almeno così credo. L'emozione è sempre la stessa, così come il timore di non riuscire a finire, di arrendersi a metà percorso o forse anche prima. La sveglia alle sei e mezza alla domenica mattina per me è una tragedia, soprattutto in inverno, per non parlare del trauma nel momento di dover uscire in maglietta termica e poco più con uno o due gradi, le mani che si congelano e nella testa la solita domanda " Ma chi me lo ha fatto fare?"Raccolgo tutte le pettorine delle gare in una cartellina con la data e il tempo impiegato per arrivare al traguardo. Oggi mi sento orgogliosa perché i miei tempi sono sempre migliorati e di certo non è l'orgoglio di un' atleta che non sono, ma quello di una persona che solo un anno fa era certa di non poter correre per più di tre minuti consecutivi. 

Mentre percorrevo l'ultimo chilometro (in salita, una bella salita ripida! Che bel regalo ci hanno fatto gli organizzatori del percorso!) ero certa di non farcela, ma poi mi è venuto in mente Alfonso che avevo incontrato alla partenza: Alfonso è una sorta di stella polare, un mentore, un maestro, l'esempio di cui tutti noi abbiamo bisogno, la prova che a volte bisogna solo credere in noi stessi e non smettere mai di provarci. Forse solo così potremo dire di aver vinto, di essere arrivati primi sul podio, il nostro podio personale dove gareggiamo solo con noi stessi, con la consapevolezza di essere stati abbastanza così come siamo. 

https://www.youtube.com/watch?v=va39Y2IPZPE

#Alfonso #correre #running #spostareillimite #youareenough #competizioneconsestessi

mercoledì 13 gennaio 2021

Pace (giorno centodiciotto)

Pace è una parole bellissima e per ognuno di noi significa qualcosa di diverso.

Per me la pace, quella vera, arriva quando dopo essermi trascinata senza forze tra le ultime faccende non rimandabili (vedi alla voce scopare via le briciole dopo cena, stendere il bucato che è ormai fermo in lavatrice da mezz'ora, lavare i miei pochi piatti e cose di questa portata) mi dirigo in bagno e mi arrendo al fatto che dovrò struccarmi anche stasera combattendo con tutta la mia forza contro l'acerrimo nemico: la pigrizia che in questa specifica occasione raggiunge uno dei punti più alti di tutta la giornata  (non so se sia peggio questo o il dover scendere dal letto la mattina!). Così, solo dopo questa prova di estremo eroismo, finalmente libera posso infilarmi il pigiama e mettermi sotto al piumone.

Nel letto non riesco quasi più a guardare serie o film, un po' perché ultimamente non c'è nulla che mi attragga particolarmente e un po' perché anche se la pensione è ancora lontana, tra qualche mese entrerò nei quaranta, quell'età misteriosa a partire dalla quale pare sia piuttosto improbabile riuscire a vedere qualcosa senza addormentarsi a meno di non essere in una sala cinematografica (ma per questo, ahimè, dovremo aspettare ancora un tempo indefinito!) 

Mi metto nel letto, assaporo la libertà della mia faccia senza trucco, dei mie vestiti comodi, il calore dei  gatti che vengono a tenermi compagnia e leggo, o almeno ci provo. Dico ci provo perché da tempo non mi capita di venire rapita e trasportata in quella dimensione simile alla tossicodipendenza che solo una lettura coinvolgente sa provocare. I bei libri, lo sappiamo tutti, sono quelli da cui non riesci a staccarti nemmeno un istante, quelli che ti porti ovunque e che se non hai un secondo per aprirli trovi una scusa per farlo, anche a costo di rinunciare ad altro. Il problema poi, non è solo questo, ma la mia insana tendenza a distrarmi quando arriva una notifica sul telefono, motivo per cui il solo modo per poter sperimentare la pace di cui vi parlo è disconnettermi da qualunque maledetto aggeggio elettronico e immergermi tra le pagine.

La pace, dicevo, ecco, la pace vera per me è tutta racchiusa in questo momento. 

Quindi adesso spegnerò il portatile, accenderò le due abat-jour e appoggerò i cuscini contro la spalliera, allungherò la mano verso il comodino e preso l'ultimo libro che mi sta tenendo compagnia da due sere a questa parte mi godrò anche oggi il mio momento di pace perfetta. 




lunedì 22 giugno 2020

Giorno centodiciassette: Il mattino ha l'oro in bocca!

Sono una dormigliona.
Amo dormire, rotolarmi nel letto fino a tardi, alzarmi senza sveglie fastidiose, rotolare lentamente verso il primo caffè della giornata e riprendere il contatto con la realtà senza troppi contatti umani, o meglio, senza troppe parole, perché i baci e le carezze invece mi piacciono parecchio.
Però, stamattina, così come alcune altre mattine in queste ultime settimane, mi sono dovuta alzare "presto" per motivi -ovviamente- non dipendenti dalla mia volontà e ho scoperto con grande sorpresa che questa sveglia che avevo inizialmente maledetto è stata in realtà un regalo inatteso.

Approfittando del fatto di esser in piedi prima delle dieci, ho realizzato, ad esempio, che la città si sveglia molto prima di me (...) e che mentre io mi trascino ancora in stato di semi-incoscienza tra le strade del mio quartiere nascondendo gli occhi infastiditi dalla luce dietro un paio di enormi occhiali da sole, intorno tutto vive: il profumo di caffè e brioche mi prende alla sprovvista passando davanti al bar, la signora del negozio di alimentari sta sistemando la merce sugli scaffali, il panettiere ha esposto le sue irresistibili pizzette e salatini in vetrina, gli operai lavorano a pieno ritmo sulla strada.

Decido allora di approfittarne per fare una capatina al mercato e scopro che amo follemente:

- chiacchierare con i venditori di argomenti superflui

- l'odore dei sacchetti di carte riempiti di frutta e verdura
- la frutta imperfetta ma saporita che porterò in tavola

-curiosare nella bancarella dell'usato (ma questo lo sapevo già!)

-caricare il cestino della bici con la spesa e respirare il sole in faccia mentre pedalo verso casa.

Forse allora è vero che il mattino ha l'oro in bocca, il mattino è stupendo perché di solito è il momento in cui sono a lavoro e raramente mi capita la fortuna di vivere la mia città, di respirarla e conoscere anche questo suo lato che mi mette inaspettatamente di buonumore.
Cercherò di ricordarmelo la prossima volta che non avrò la forza di alzarmi, magari domani replico, o forse ...meglio dopodomani!


mercoledì 18 marzo 2020

Giorno centosedici: Una moderna resistenza partigiana

Una mattina
mi sono alzata...
qualche raggio luminoso si insinua tiepido dalla finestra, così ho aperto le imposte e ho guardato il cielo di un azzurro chiaro e disteso. Mi sono messa una maglia sulle spalle e sono tornata fuori a sedermi nei miei pochissimi metri quadrati di sole. Ho respirato profondamente: l'aria è profumata, sa di primavera, in fondo alla via i primi ciliegi sono esplosi carichi di fiori bianchi, pochissimi rumori di macchine, il canto di qualche uccello, un gatto nero affacciato alla finestra di fronte, al piano di sotto armeggiano con la caffettiera, il mio gatto salta sul tavolino e viene a strofinarmi il muso sul viso, c'è un vento lieve. 
Una bellezza così perfetta non la vivevo da tanto tempo.
Sembra tutto sospeso, in un tempo senza tempo.
Respiro e mi bevo questo istante.
Voglio che resti per sempre impresso dentro di me, anche quando tutto sarà finito, voglio che mi ricordi di vivere a fondo ogni momento, di restare nel presente.
"Facciamo una moderna resistenza partigiana" c'è scritto sul cartello nella vetrina del tabaccaio. Sono uscita a comprare frutta e verdura e per andare in edicola.
La mia resistenza è fatta di peperoni, taralli e un quotidiano.
Dentro casa il lavoro occupa la maggior parte del mio tempo.
Tento -alternando successi a fallimenti- di scandire le mie giornate intervallando il lavoro con lo yoga, qualche lettura, le videochiamate con chi amo e non posso abbracciare, un film, gli addominali, il teatro, qualche minuto di meditazione, ricette nuove in cucina. Cerco di dare un senso a tutto questo, anche se per ora non sempre ci riesco. Stappo una bottiglia di vino a cena e brindo con me stessa. Poi chiudo tutto e mi metto a letto. I gatti si vengono a stendere ai miei piedi, si appoggiano alle gambe e io inizio a pensare a quando potrò di nuovo camminare. Sarà un lungo cammino per celebrare la libertà, un cammino di gratitudine. Credo che percorrerò tutti i km che mi mancano per arrivare a Santiago. Sapevo che avrei dovuto aspettare per terminarlo, l'ho sempre detto quando lo raccontavo a chi mi chiedeva: "Deve arrivare il momento giusto". Ecco, ora so che è arrivato. 
Facciamo una moderna resistenza partigiana. 
Sorrido.


venerdì 6 dicembre 2019

Giorno centoquindici: venerdì mattina

Questa mattina mi sono svegliata in un abbraccio, con il caffè a letto e i vetri appannati:
dalla finestra filtrava l'oro magico delle mattine di sole di Dicembre -il freddo si riconosce dalla sua luce prima che dalle mani e dalle guance gelate-.
Sono uscita, mi sono fermata a prendere un secondo caffè al bar, persa nei discorsi degli sconosciuti, ho ritirato un pacco in posta e tornando verso casa mi sono imbattuta in un gesto che ormai sa di antico: un anziano che imbucava una lettera e mi sono ritornate in mente tutte le lettere che ho spedito anni fa', l'attesa nel ricevere la risposta, l'emozione nel prender tra le mani la busta quando appariva per incanto nella buca, la bellezza del momento in cui la si apriva - sempre strappando qualche pezzetto di carta- e la si leggeva e rileggeva, fino a quando la si sapeva a memoria.
Che bello sarebbe ricevere di nuovo una lettera!

Oggi, comunque è venerdì, il giorno più bello della settimana e io ho mille motivi per essere felice.






venerdì 8 novembre 2019

Giorno centoquattordici: fare di necessità virtù (come ti trasformo quattro giorni di malattia in una risorsa preziosa)

Stare a casa quando si è malati, stare a casa quando a lavoro hai miliardi di cose da fare e l'ultima cosa che desideri è doverle rimandare, insomma: stare a casa quando non si vorrebbe.

Ecco come a volte sono le circostanze a decidere per noi, ma non tutti i mali vengono per nuocere! (Sì, in questo mio ritorno dopo più di un anno di silenzio mi sento piuttosto innamorata dei detti popolari e dei proverbi, come avrete potuto notare)!

Reduce da quattro giorni di reclusione forzata per via di una noiosa influenza con febbre, mi ritrovo in realtà a tirare le somme di questo tempo sottratto ai ritmi frettolosi della quotidianità e a sentirmi inaspettatamente soddisfatta e felice.
Ho approfittato di questa parentesi per dedicarmi a tutto quello che solitamente quando ho tempo rimando -perché preferisco fare cose più interessanti- e quando non ho tempo non faccio, per ovvie ragioni.

Ecco quindi che le noiose mattinate e i pomeriggi interminabili diventano felici quando, in ordine sparso:
- decidi che è arrivato il momento di sistemare le foto dei tuoi viaggi degli ultimi tre anni.
Ebbene sì, in una delle centinaia di liste di buoni propositi che avevo stilato negli scorsi anni compariva la voce "Stampare foto delle vacanze e creare degli album ricordo". Devo ammettere che ci ho messo un po' ad onorare questo impegno che avevo preso, ma come si suol dire: meglio tardi che mai! Ora ho ben due album che sfoglio provando un piacere che avevo scordato da quando non stampavo più le foto. Finalmente ho dato un corpo tangibile ai miei ricordi, tornare a scorrere quelle pagine nere mentre osservo ogni immagine e i momenti che raccontano è un privilegio che va difeso, contro l'insana tendenza a lasciare che tutto si perda nell'impalpabile mondo del digitale.
- metti in ordine i cassetti che contengono collane, orecchini, braccialetti, anelli e le centinaia di accessori che il mio comò di accumulatrice seriale -disordinata-contiene da anni. Ogni cassetto custodisce i bottini delle mie incursioni nei mercatini dell'usato, gli scambi con le amiche, i regali portati da viaggi in luoghi lontani, uno scrigno di pezzi unici che servono a definire il mio modo di essere e che meritava di ritrovare un suo ordine dignitoso.
- finisci un libro che ti faceva compagnia da mesi sul comodino e ne inizi addirittura uno nuovo ("Una donna in bilico" di Lucia Etxebarrìa).
- riesci a guardare ben tre puntate della tua serie preferita.
-acquisti online i primi regali di Natale per i tuoi amici e quella stampa che desideravi da mesi per appenderla sopra al letto.
- puoi coccolare i tuoi gatti per un tempo illimitato.
-programmi il lavoro da svolgere in classe per tutta la settimana in modo da essere libera di goderti il sabato e la domenica.
-sperimenti nuovi piatti in cucina (vedi alla voce "Pennette alla crema di peperoni e olive taggiasche")
-ritorni a scrivere sul tuo blog dal quale mancavi da troppo tempo.

Insomma, eccomi di nuovo piena di entusiasmo per essere tornata su questa pagina e per poter raccontare tutte le cose belle per cui vale la pena essere felici, tutti quei piccoli e apparentemente insignificanti dettagli per cui anche oggi abbiamo sorriso, seppure per un solo istante.

ps Questa volta, però voglio essere realista, perché gli obiettivi devono essere realizzabili: non riuscendo a garantire di poter scrivere un post al giorno cercherò comunque di scrivere il più possibile e come obiettivo minimo direi che può andar bene quello di un post alla settimana...pensate che mi leggerete lo stesso?





martedì 11 settembre 2018

Giorno cento tredici: la caffettiera della sera prima (ovvero i soliti buoni propositi di settembre).

La luce di Settembre è la più bella, è quella perfetta per tornare a vivere.

Sono una creatura autunnale.

Mi piace la dolcezza con cui i colori diventano più tenui perdendo la sfacciataggine soffocante e gridata di Agosto, mi piace tirar fuori dall'armadio il golfino per i primi freddi delle otto di mattina, guardarmi intorno e vedere che ogni cosa si sta preparando per tornare a riposare, a raccogliersi, a chiudersi in un pomeriggio caldo sotto il plaid a leggere o guardare film.

E come ogni Settembre  - ennesimo atteso capodanno- metto un punto e vado a capo.

A settembre poto rami, chiudo situazioni, ne apro di nuove.

L'autunno è per me il momento in cui torno a guardami dentro, a fare il punto della situazione, a fare liste, tante liste, di cose da fare.
Ecco, dalle esperienze passate ho imparato che con le liste dei buoni propositi non bisogna esagerare, non bisogna farne troppe e che soprattutto gli obiettivi devono essere chiari, pochi e raggiungibili.

Così anche questo settembre ho stilato la mia banalissima lista delle cose da fare che suona più o meno così:

- ricordarsi di preparare la caffettiera per il giorno seguente prima di andare a dormire
-tornare a dedicare del tempo alle cose che amo come la scrittura e la fotografia
-possibilmente provare a farne se non un lavoro, qualcosa di simile
-trovare tempo per andare in piscina
-non perdermi di vista.

Tra tutti questi buoni propositi, i più importanti sono certamente il primo e l'ultimo.
Il primo, in primis (non per niente apre la lista)!

Ho sempre un grande entusiasmo per le cose che cominciano, ho mille idee, vivo come ubriaca di passione i primi momenti in cui l'intuizione creativa si affaccia sulla soglia del cuore, ma poi poco per volta perdo lo stimolo, sono inconcludente e i miei sogni rimangono nel cassetto a far la muffa.
Ecco, questo non vorrei più che accadesse.
Perché i sogni vanno custoditi, alimentati e poi devono prender forma e per renderli tangibili serve tanta costanza, ciò che in assoluto mi manca.
Sono disorganizzata, inconcludente e regina della procrastinazione, questa è la peggior malattia che affligge il mio sistema creativo, il morbo che uccide l'artista che è in me.
Devo imparare a prendermi cura delle mie idee a non abbandonarle dopo averle intraviste splendermi davanti, devo imparare l'abitudine e l'assiduità.
Così mi sottopongo a questo piccolo esercizio quotidiano: mi preparo la caffettiera per la mattina successiva.
Pare una sciocchezza, eppure a me costa la stessa fatica che costava a Sisifo riportare su per la montagna il suo pesantissimo masso.

Sull'ultimo punto c'è ben poco da dire.
L'ultimo punto si nutre della forza che scaturisce dal primo: imparare la costanza, smettere di precludermi opportunità, credere di più nei miei doni, essere la mia priorità.

Sempre.
(Almeno fino alla prossima lista).