Debutto: la prima volta in cui ci si presenta davanti a un pubblico, l'inizio di qualcosa di nuovo.
Debuttiamo centinaia di volte nella vita, così tante che alla lunga nemmeno ce ne rendiamo conto.
Eppure lo facciamo il primo giorno di scuola, quando iniziamo un lavoro nuovo, quando conosciamo i parenti della persona con cui abbiamo una storia, la prima sera che usciamo con lui o con lei.
Debuttiamo sui tacchi di un nuovo paio di scarpe, con indosso un cappotto mai messo, come madri, testimoni all'altare, tra i fornelli, al nostro primo abbraccio, la prima volta che prendiamo un aereo da soli, quando pronunciamo la prima parola in una lingua straniera, al nostro primo no.
Ho debuttato un numero infinito di volte nella mia vita incerta di precaria ultratrentenne.
Talmente tante che ormai gli esordi erano diventati quasi una rassicurante abitudine.
Così rassicurante che non appena ho avvertito una parvenza di stabilità mi sono sentita piuttosto destabilizzata, provando una sorta di vertigine inattesa e l'irrazionale dubbio di non esser fatta per le certezze.
Nemmeno per quelle provvisorie.
Due sere fa, sono salita su un palco per la prima volta nella mia vita.
Non saprei dire se l'ho fatto perché era qualcosa che da sempre mi attraeva o piuttosto perché era una cosa che mi terrorizzava e come la mia natura spesso mi porta a fare, mi ci sono tuffata dentro a capofitto come dentro a un'enorme e spaventosa onda.
Probabilmente per tutti e due i motivi.
Quello che so, però, è che difficilmente si può spiegare l'ansia che percorre ogni muscolo e ogni centimetro di pelle prima di uscire da dietro le quinte e abbandonarsi sotto la luce abbacinante dei riflettori, sotto quella luce che ti mette a nudo sezionandoti con il suo fascio potente, quella stessa luce che, al contempo, però, ti salva, annullando in un buio amichevole i volti seduti in sala.
Il pubblico: già, perché il teatro ha senso solo se c'è un pubblico.
Il pubblico dà un senso a quello che altrimenti resterebbe un banale esercizio di sterile narcisismo.
Recitare, o provarci, è come spogliarsi completamente, è affidarsi senza timori a chi è lì ad ascoltarti e ad osservarti, è accettare di esser ciò che sei.
Perché contrariamente a quanto si possa pensare, sul palco non ci possono esser maschere, al di là di qualunque interpretazione, anche la più magistrale, sei tu, solo con il tuo corpo, con le tue smorfie, con il tuo movimento e la tua voce.
Fare teatro è avere il coraggio di darsi per quel che si è, è un atto di generosità infinita, è provare a vedersi attraverso quegli occhi che nel buio sono lì a scavarti dentro.
Non credo di avere particolari doti da attrice, tutt'altro, eppure questo esordio è qualcosa che mi riempie di orgoglio.
Orgoglio per avercela fatta, per essermi sentita parte di un gruppo, per aver vinto contro la vergogna e la ritrosia a mostrarmi, orgoglio per questo altro piccolo passo verso la me che vorrei essere, una me che impara ad andar fiera di quello che è.
Ogni debutto porta con se un insegnamento, questo, lo ricorderò come il tassello mancante, come la prima tessera di un nuovo percorso verso me stessa.
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