sabato 13 maggio 2017

Giorno ottantasette: il piacere del non fare.

Giorno ottantasette, ottantotto, ottantanove.
Giovedì, Venerdì, Sabato.

Dire, fare, (non)baciare, lettera, testamento.

Ma fare, soprattutto fare.

Fare così tanto da non potersi nemmeno ritagliare mezz'ora per scrivere.
Fare perché non hai scelta (o così credi).
Fare senza accorgerti di fare troppo.

Entra, esci, corri, vai, torna.
Lavoro, piscina, teatro, scuola, casa, amici.
Parla, correggi, condividi, rifletti, infila il costume, entra in vasca, fatica, prepara lezioni, stai otto ore a scuola, passa l'aspirapolvere, cambia asciugamani, cucina, svuota la lettiera dei gatti, porta fuori la spazzatura, compila progetti, cura le relazioni con le famiglie, perdi tempo in noiose questioni burocratiche, prenota una visita al telefono, taglia i capelli, organizza un fine settimana.
E poi esci, vieni, vai, torna, saluta, parla, abbraccia, scrivi, commenta, spostati in macchina, a piedi, in metro.

Respira.

Adesso, però respira.

Dopo un giovedì di super lavoro, un venerdì sera che finisce troppo tardi per un sabato mattina con una sveglia presto, troppo presto, un workshop di story telling, un pranzo tra amici, una sera al cinema e una passeggiata di un'ora nella piacevole tenerezza delle temperature di Maggio, apro la porta e mi dico: basta!

Respira.

Non farò il letto, non sistemerò i libri sul tavolo, non metterò a posto i cuscini sul divano.
Lascerò i vestiti accumularsi in una montagna scomposta sulle sedie del soggiorno e della camera da letto, le scarpe all'entrata, i bicchieri da lavare.

E la mia vita continuerà, esattamente come prima. Non accadrà nulla, solo ci sarà meno perfezione e più libertà, la libertà del fermarsi, del dire di no, del buttarsi in un letto disfatto e dormire senza preoccuparsene.
Il gusto del non fare quello che andrebbe fatto.
Un piacere da assaporare alla quasi mezzanotte di un sabato sera qualunque, alla vigilia di una domenica lenta e senza programmi.



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