Quando si lavora coi bambini la tua vita cambia.
Sembrerà un luogo comune, eppure è una verità assoluta. Nemmeno io ci credevo, prima di iniziare.
Ricordo che il primo giorno che entrai in classe la sensazione che mi arrivò, fortissima e immediata, fu di totale smarrimento dinnanzi a quei trentasei occhi spalancati che mi guardavano pieni di curiosità e timore.
Da lì in avanti fu un crescendo di darsi e chiedersi reciprocamente fiducia, un bellissimo, ma altrettanto faticoso provare, sbagliare, cambiare, riprovare, andar per tentativi.
Ogni giorno è diverso dal precedente con loro: entri in classe e non sai mai cosa potrà succedere, cosa ti vorranno chiedere, di cosa vorranno raccontarti. A volte arriva una leggerezza inattesa, soprattutto quando uno di loro corre da te a confidarsi o a parlarti di quanto gli manchi il padre spesso via per lavoro, dei suoi sentimenti non corrisposti da un'amica, di come sia difficile non vedere più i nonni lavorare nell'orto di fronte a casa. Altri giorni sento di sbagliare tutto, di dover ricominciare percorrendo nuove strade, sperimentando, rimettendo tutto in discussione.
L'equilibrio è molto labile e in continuo cambiamento, com'è ovvio che sia: stare insieme ogni giorno significa conoscersi, crescere, scambiarsi parti di noi, regalarsi agli altri.
Quando si lavora coi bambini, dicevo quattordici righe fa -che poi non so perché, ma le parole si inseriscono quasi da sole, senza che io possa controllarle tra l'inizio di un pensiero e la sua fine!-la tua vita cambia.
Improvvisamente ricordi quanto sia bello osservare le stagioni che cambiano colore, apprezzi la musica di una poesia semplice, ti diverti a creare con dei fogli recuperati da un cestino mondi immaginari su un cartoncino verde.
Le ore volano, i giorni anche.
Mai prima di iniziare a lavorare con loro mi era parso che le settimane durassero poche ore e i mesi una settimana, al massimo.
E così, riprendi anche a giocare, a ridere di te, a goderti le Feste che si susseguono e che avevi smesso di notare da anni.
Il Carnevale, ad esempio: io mica l'ho mai apprezzato come adesso. Nemmeno quando ero piccola.
In realtà mi piaceva moltissimo quel costume da fata Turchina che mi aveva cucito mamma, anche la bacchetta magica dorata e in cappello azzurro a cono con le stelline argentate. Quello che mi metteva tristezza, però, era lo sfilare dei carri sul corso vicino casa, non so bene perché e soprattutto il sapore di un pomeriggio celeste slavato di fine metà febbraio, quando le giornate si spengono ancora troppo presto nel buio e nel freddo.
I miei bambini, invece, mi hanno ricordato quanto possa essere affascinante inventarsi un costume con due pezzi di stoffa trovati in classe e poi correre in giardino per quasi due ore, soffiarsi addosso le stelle filanti - e poi soffiarle tutti insieme sulla maestra!-, auscultare la povera malcapitata con un vero strumento medico per poi affermare preoccupati: "Maestra, hai il cuore che batte troppo forte, devi essere innamorata!", non sentire mai freddo nemmeno quando è ancora inverno.
Così, dopo questo pomeriggio speciale, me ne torno a casa leggera. I piedi tra i coriandoli sembrano aver voglia di danzare. Attraverso il parco ripensando a quanto sia bello avere la fortuna di un lavoro che ci piace e una volta chiusa la porta bianca, mi siedo sul divano a mangiare la mia ultima bugia di questo Carnevale che, per conservare la magia, ha la forma di un cuore.
Guarda che c'è ancora martedí grasso! Puoi continuare con le bugie!
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