martedì 21 febbraio 2017

Giorno ventuno: la cartoleria.

Stamattina a scuola abbiamo iniziato ad affrontare il genere narrativo della fiaba. Come spesso succede in questi casi, i bimbi fanno a gara per raccontare tutto ciò che sanno sull'argomento e così, in pochi minuti, abbiamo ripercorso in un excursus convulso e piuttosto strampalato, la maggior parte delle grandi fiabe che tutti conosciamo.
Ad un certo punto, però, ci siamo fermati a riflettere sul significato del "finale felice". 
Ci tengo sempre a introdurre un po' di "scompiglio" nelle teste dei miei alunni, mi piace rovesciare insieme a loro quelle che sono le idee più ovvie che da sempre ci vengono messe in testa, sin da quando siamo piccoli.  Mi piace farlo non per portare confusione o per oppormi a qualcosa che non condivido, ma perché credo che abituarsi a pensare con la propria testa sia una questione di allenamento e che non sia mai troppo presto per iniziare. Il lavoro del "sabotatore di normalità" è qualcosa di estremamente faticoso e affascinante allo stesso tempo: i bimbi sono dei filosofi, arrivano dove noi non siamo più in grado di scorger nulla perché ancora liberi da certe sovrastrutture e imposizioni. 
Così, nel gran calderone del dialogo di classe - attività alquanto complessa da gestire, visti gli innumerevoli tentativi di parlare senza ascoltare gli altri, non rispettare il turno di parola a via dicendo- sono emerse vere perle di saggezza infantile. Una bambina mi ha detto che il finale felice "non è per forza quello in cui due persone si sposano, perché a volte può essere molto più felice il fatto che due persone divorzino, se hanno sbagliato a scegliere con chi sposarsi", qualcun altro ha affermato che "il finale felice è quando la principessa si salva da sola, senza aspettare che arrivi il principe a farlo". Tutte considerazioni che condivido e che mi rendono orgogliosa dei miei pupi, ma ciò che più mi ha colpito è stato : " Per me il finale felice è quando siamo capaci di trovare la felicità in noi, non aspettando che ce la dia un altro". Ecco che in quel momento esatto ho sentito che tutta la fatica di certi giorni in cui ti sembra di non essere all'altezza del tuo ruolo, che la disillusione, l'inevitabile scoramento di alcune situazioni , veniva cancellato come per magia, da poche parole semplici, ma incredibilmente rivelatrici. 

Hanno otto anni e ogni giorno sanno insegnarmi molto di più di ciò che io provo a insegnare loro. 

La giornata è scivolata veloce con questo pensiero fisso, me lo sono appuntato al cuore, come un promemoria e mentre dopo cinque ore a scuola e due di riunione me ne tornavo a casa esausta, ho pensato alle centinaia di cose che mi rendono banalmente felice. Tra queste, una piccola abitudine ridicola: quella di comprarmi qualcosa e per assaporare il senso di "regalo", farmelo impacchettare per poterlo aprire una volta a casa. Sì, forse non è una cosa da persona normale, ma come i miei bambini mi insegnano "la normalità non esiste, maestra!". Ecco allora che entro in una meravigliosa cartoleria - uno dei pochi luoghi, insieme alle librerie, in grado di riconciliarmi con il mondo intero!- e inizio a vagare in un microcosmo fatto di matite, penne, libri illustrati e carta da lettere. 
Il profumo delle cartolerie è in grado di riportarmi in un secondo alla mia infanzia, quando a volte, con mamma andavo a scegliermi un piccolo regalo in quella vicino casa. Il cartolaio era felice quando ci vedeva arrivare: a sua detta ero l'unica bambina della zona a comprare libri. 
Insomma, inizia il mio vagabondare incantato tra gli scaffali e vorrei comprare di tutto!
Dopo un po' inizio a fare selezione: il libro illustrato su Frida è meraviglioso, ma costa troppo, le collane fatte a mano con le ragazzine in bici anche. Ripiego su un quadernetto che finirà insieme agli altri sette in attesa di essere usati (consumo quadernetti con una fame esagerata, li porto sempre con me in borsa per annotare pensieri o idee durante il giorno: Tiger è il mio principale fornitore di inutili meraviglie!) e un libro illustrato. Tra tutti quanti lui mi ha incuriosita, mi ha chiamata, come solo i libri sanno fare con il loro silenzioso canto di sirene: lo sfoglio un po', ma non troppo per non perdere la sorpresa della storia quando la leggerò, mi piacciono le sue illustrazioni e il titolo. Lo prendo in mano, accarezzo la copertina e decido di comprarlo. Così me lo faccio impacchettare e godo come una bambina nel vedere che la commessa sceglie per me una carta rossa a pois: immenso piacere per i miei occhi! Metto tutto in borsa e me ne torno a casa camminando felice: una lunga camminata di quaranta minuti mi separa da casa, dal momento in cui seduta sul divano scarterò quei miei piccoli tesori. 

Ecco, per oggi anche io ho trovato il mio finale felice!




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