martedì 28 febbraio 2017

Giorno ventisei: il linguaggio segreto dei segni.

Quando metto piede in un posto nuovo, più di qualsiasi altra cosa, amo crearmi un mio personale percorso di scoperta di quel luogo che sia però lontano dalla logica del giro turistico più classico.
Mi piace assaporare con lentezza i ritmi di quell'angolo di mondo sconosciuto, fingendo di essere un suo abitante e quindi camminare moltissimo per le strade mischiandomi alla gente, perder tempo nei bar osservando gli avventori, andare a rovistare tra i tesori dei mercati delle pulci, mangiare in ristoranti con i menù scritti in una sola lingua (in alcuni casi sperando di essere in compagnia di amici del posto!)
In questi miei giri che seguono la mappa delle mie banalissime passioni, cerco di non programmare troppo le varie tappe, ma lascio che a guidarmi sia un po' il susseguirsi stesso degli eventi, prestando un' attenzione -quasi maniacale- ai piccoli segni che, inevitabilmente, troverò durante la mia esplorazione.

Perché so già che li troverò, come sempre.
Non è difficile, io credo che succeda a chiunque, solo che non tutti ci fanno caso.

Da sempre, ho una sorta di magnetismo nel trovare sul mio cammino piccole sorprese che sembrano parlarmi e darmi conferma del fatto che sì, sto andando nella direzione migliore.
Si tratta di oggetti, spesso dimenticati o abbandonati, di dettagli, di angoli che ai più possono forse risultare insignificanti, ma che nel mio privato abecedario sentimentale hanno una loro precisa collocazione.

Così accade di incappare in un guanto perduto, in biglietti scritti a mano con numeri di telefono o liste della spesa, in murales bizzarri, in monete, anelli, manifesti di film e via dicendo, tutti con qualcosa da dirmi.

Oggi, passeggiando con una guida speciale tra le vie di un quartiere piuttosto singolare e molto affascinante, è stata una sorpresa dopo l'altra: un murales che parla da sé, una colorata pubblicità di un bar disegnata sul marciapiede, una carta da dieci di cuori, carta che incita a proseguire sulla propria strada perché si sta andando verso la felicità e simboleggia un momento di transizione.

Così cammino, osservo, mi entusiasmo per i cieli nuovi, per gli occhi di ghiaccio, per i dettagli che mi sembra vogliano parlarmi. E in questo continuo stupore il viaggio prende forma caricandosi di significati tutti da interpretare.

In fondo credo davvero che il cosmo ci parli: basta solo aver la curiosità di ascoltarlo e la leggerezza necessaria per continuare a stupirsi di questa piccola magia.






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