giovedì 16 febbraio 2017

Giorno sedici: lavori in corso. Una pausa pranzo di inizio primavera.

Oggi l'aria era talmente leggera da tirarti fuori, ovunque tu fossi e portarti a respirare la primavera improvvisa arrivata da ieri, senza alcun preavviso.

Avere due ore di pausa tra una lezione e l'altra è un privilegio, soprattutto se si lavora immersi in un parco meraviglioso. Così ho mangiato qualcosa in fretta spiando fuori dai vetri della scuola i colori accesi delle tredici di un primo pomeriggio di febbraio.

L'alluvione di qualche mese fa ha lasciato un paesaggio spettrale anche in quello che è il parco più bello della città.
I segni della violenza dell'acqua sono ovunque: sponde crollate, argini distrutti, fango che ricopre le scale dei ponti, rami e alberi interi sradicati che per mesi hanno galleggiato nelle acque del fiume diventate marroni dopo la furia della pioggia.
Ogni giorno mi chiedevo se si fossero dimenticati del nostro parco, se qualcuno ce lo avrebbe mai restituito com'era prima.
Per un tempo a me sembrato lunghissimo, quello che era stato "il mio mare" si è trasformato nella culla triste di una tormenta che sa di paesaggio post esplosione nucleare a tal punto che passare nei luoghi che da sempre amavo, attraversare quella parentesi che prima dell'alluvione era una sacra sospensione di silenzio e bellezza dalle brutture del traffico cittadino e del grigio diffuso, si era convertito in un doloroso passaggio decadente.

Per fortuna, però, succede che in un pomeriggio qualunque ti riappropri inaspettatamente di quella bellezza.

La temperatura dolce, il cielo di nuovo lieve che sfuma nelle mille gradazioni del celeste, l'acqua tornata verde, ma soprattutto vedere gente, tanta gente, al lavoro per riportare quei luoghi al loro splendore consueto è stata come una carezza piena di calore.
Ho camminato a lungo, a passo spedito, ma respirando a pieni polmoni tutta la luce di questo risveglio e sentendo sulle guance la fatica bella della rinascita, la spinta a risalire dopo il disastro.
Quegli uomini sulle barche, sulle piattaforme, quegli sconosciuti che spostavano rami, toglievano fango, passavano sulla terra bagnata coi loro camion, sistemavano siepi, alberi e affaticati si fermavano a guardare, di tanto in tanto, per accertarsi di muoversi nel modo giusto.

Mi sono fermata anche io, in contemplazione di quel miracolo.
Mi sono seduta su una panchina e con gli occhi socchiusi ho respirato insieme al fiume che mi è parso tornare a vivere.
Ho fatto un passo indietro, mi sono allontanata da me e mi sono vista nella direzione giusta cercare di ricostruirmi, dopo la catastrofe, esattamente come quegli sconosciuti stavano facendo con il mio parco, con il mio fiume, con quel paesaggio malinconico che tornava lentamente a galla.

Senza fretta, con fatica, ma con la certezza che tutto splenderà più di prima, nell'attesa di nuovi fiori.








2 commenti:

  1. Ho sentito tutti i miei profumi torinesi, quelli che attraversavo in bicicletta quasi tutti i giorni senza mai annoiarmi...

    RispondiElimina