giovedì 23 febbraio 2017

Giorno ventitré: il primo appuntamento

Non so sia una peculiarità tutta mia o se succeda a chiunque, ma spesso, molto spesso, mi capita passeggiando, andando a lavoro o uscendo a cena con un amico, di incontrare due persone al loro primo appuntamento.

Come ci si accorge che si tratta di uno dei primi incontri? Piuttosto semplice: osservando con attenzione.

Ho sempre adorato osservare gli altri, sin da piccola.
Le vite altrui ci appaiono più belle, più perfette. I visi degli sconosciuti che incrocio sull'autobus o camminando per strada li potrei ricordare dopo anni a un secondo eventuale fortuito incontro: mi è successo svariate volte e sempre mi sorprende questa mia capacità, soprattutto se la paragono alla mia memoria zoppicante e poco efficiente.
Così, osservare gli altri è diventata presto un'abitudine piuttosto naturale. Non si tratta di curiosità fine a se stessa è piuttosto un'attrazione irrefrenabile verso lo sconosciuto, un richiamo al quale non so resistere.
Quando guardare, cercare i dettagli nei corpi e sui visi altrui, registrare con lo sguardo i gesti impercettibili che ognuno di noi fa, senza nemmeno rendersene conto o ancora percepire l'intonazione unica della voce diventa un piacere naturale, allora non è molto difficile accorgersi in che relazione stanno due persone.
Mi accade spesso di intuire i legami tra sconosciuti molto prima di averne conferma e raramente l'intuizione, che poi è solo capacità di scorgere messaggi segreti, sbaglia.

Oggi tornando a casa dal lavoro ho incrociato una giovane coppia: lei capelli lunghi castani, occhi timidi e voce bassa, lui sguardo volitivo e corporatura slanciata. Camminavano mantenendo tra loro una lieve distanza, la distanza tipica di chi se ne sta ancora nel proprio spazio privato e si inizia ad aprire -non senza resistenze, anche quando qualcuno ci piace- verso l'altro. Non solo la distanza tra i corpi rivelava che era una delle prima uscite, ma anche gli sguardi che non inciampavano mai nella distrazione di qualcuno che passava accanto e ancor meno sullo schermo dello smartphone.

La distanza, gli sguardi e il saper ascoltare.

Le primissime volte che si esce con qualcuno che ci piace, si sa, indossiamo la nostra versione migliore e il saper ascoltare l'altro è uno dei trucchi di maggior successo che abbiamo a nostra disposizione. In realtà non credo nemmeno che si tratti di qualcosa di consapevole. Semplicemente all'inizio, quando ogni cosa è ancora nuova, integra, da scoprire, siamo totalmente ammaliati da questa persona che fino a ieri nemmeno esisteva nelle nostre vite e che improvvisamente arriva a riempirci di curiosità e devoto stupore.
Eccoli lì i due ragazzi al primo appuntamento: lui non perde per un attimo l'attenzione, la ascolta affascinato, interviene, ride e commenta. Lei è evidentemente imbarazzata, ma di quell'imbarazzo bello che solo gli inizi di qualcosa che ci piace sanno regalare. Anche lei lo ascolta e lo guarda negli occhi, seppur per pochissimi secondi, quando lui interviene. Poi abbassa lo sguardo e sorride.

Li incrocio e sorrido anche io, sicura che non si siano accorti di nulla così immersi nella perfetta sospensione del loro primo incontro, quando ogni cosa intorno a noi perde la sua consistenza, le persone diventano invisibili, i rumori muti.

Sorrido a loro e sorrido a me, pensando che sempre, dopo ogni fine ci ripromettiamo che sarà l'ultima.

Poi, però, arriva una nuova prima volta, un nuovo primo appuntamento e che la voce, le mani, le parole e l'imbarazzo saranno diversi.
Però la distanza, gli sguardi, il saper ascoltare, quelli torneranno sempre uguali a ripetersi nell'incessante rituale dell'avvicinarsi tra due ex sconosciuti.















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