giovedì 6 aprile 2017

Giorno sessantatré: la luce sulle case degli altri

Se c'è una cosa che adoro quando cammino in una città, è andarmene con il naso all'insù osservando le case.

Provo un profondo piacere estetico nello sbirciare tre le finestre accese di notte nel tentativo di entrare nella vita degli sconosciuti, spiandone ingenuamente la vita dietro le tende. 
Amo la sensazione tattile (immaginata con gli occhi) del cemento, del mattone, dei muri ruvidi e di quelli più lisci, i bovindi di Torino, le finestre enormi dalle quali entra tutta la luce delle strade, le grandi terrazze -sogno che mi porto dietro da quando ero piccola-e i minuscoli balconi colorati dai gerani. 
E insieme alle finestre e alle case con le loro storie, con le persone che ci nuotano dentro come piccoli pesci rossi in un acquario, mi piace la luce che si posa su di loro.

La luce che non è mai la stessa in base all'ora e alla stagione.
La luce sa esaltare o affondare un dettaglio, un segreto, una forma.

Spesso le case colpite da un fascio di luce come sotto a un riflettore su un palco di teatro, mi appaiono come visioni all'uscita della metropolitana, appena girato un angolo, al fondo di una strada.
E allora mi fermo qualche istante sorpresa, spaesata dinnanzi a tanta bellezza, stupita dall'inatteso.

La luce taglia, accarezza, ammorbidisce.
A volte sottolinea, esalta, inquadra: ecco un'anziana alla finestra intenta a guardare la vita che le scorre sotto gli occhi, un gatto con gli occhi socchiusi che respira il sole, la luce li inserisce in una geometria perfetta, ne disegna una cornice, fa di quella visione casuale un fotogramma.

Conservo centinaia di foto di finestre e di porte, sono per me una sorta di ossessione che colleziono ad ogni mio viaggio lontano o quotidiano nella mia città.

Ci sono le finestre incastonate tra gli azulejos di Lisbona, le nuvole che passano sui vetri di Madrid, l'arancio scostato al tramonto delle case di Roma, il vecchio alla finestra a Trastevere, i panni stesi alle finestre minuscole dalle imposte verdi tra i vicoli di Genova, nella luce biancastra di un sabato di pioggia.

Tante finestre come occhi sul mondo.
Tante fessure che raccontano qualcosa parlandoci da dentro a fuori. 

Tante luci diverse che invece entrano nella vita degli altri, da fuori vanno verso l'interno e lo fanno accarezzando, dipingendo, disegnando dettagli o nascondendo volti tra le ombre.

Le finestre, 
le case, 
la luce.

Il dentro e il fuori.

Un continuo dialogo immaginario di bellezza e dettagli.
La bellezza senza filtri in cui siamo immersi, da cui siamo assuefatti.
La bellezza che dobbiamo tornare a vedere.

















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