Pasqua: i primi caldi, venticinque gradi di perfezione assoluta, guidare con il finestrino abbassato e la mano fuori.
Pasqua: la torta Pasqualina di mamma, l'insalata russa fatta in casa, le uova di cioccolato e il Dolcetto. Il pranzo infinito fino all'ora di merenda, il caffè che non serve a nulla, la confusione della famiglia riunita intorno al tavolo.
La voglia di una camminata per smaltire.
Il cielo di smalto con qualche lontano straccio bianco sulla punta delle montagne, i solchi curvilinei nel terreno bruno, i campi freschi di verde- piante- nuove.
Camminare nel vento sopra la tangenziale, allungare il passo cantando canzoni anni ottanta, parlare in un'altra lingua con tua nipote.
Arrivare sul viale alberato con le le punte degli alti pioppi che danzano nell'aria, le foglie argentate come piume leggere di uccelli esotici, l'occhio che segue la prospettiva fino alla residenza reale in fondo alla strada.
Nei quasi trenta gradi di questa Pasqua soleggiata il solo bar aperto lungo il corso straripa di uomini in maniche di camicia e caviglie nude ai tavolini, anziani che fumano ridendo, scene da un post pranzo di festa consumato in qualche ristorante dei dintorni.
Il prato tagliato all'inglese, gruppi di famiglie con bambini che fanno capriole o parlano distesi sull'erba come in qualche famoso quadro impressionista.
Le antiche cascine sparse lungo il viale, come perle scappate da un filo di seta.
Si srotolano una in fila all'altra, nella loro bellezza delle cose perdute.
Ancora riportano in alto, sui loro muri, piccole insegne o scritte in caratteri bianchi "alimentari", "barbiere" "farmacia".
Oggi vuote, abitate solo da una vita immaginata, eppure anni e anni fa, qui c'erano i cavalli, i contadini, le donne nelle corti interne, le galline, i bambini sporchi di terra.
Ho sempre subito il fascino di questi spazi così rurali ai margini della città, bello pensare a come poteva esser vivere qui, anche fino a non molti anni fa, quando prima della vera e propria urbanizzazione, le cascine erano ancora popolate.
Le vite immaginate, le vite degli altri, le cose che non sono più.
La bellezza del tempo perduto, le suggestioni che popolano i miei sogni notturni sempre nate nel mio girovagare quotidiano con gli occhi spalancati sulla bellezza, la voglia di fotografare, scrivere, scarabocchiare qualcosa per salvare attimi, visioni, poesia.
Pasqua di otto chilometri pensando a quel che c'è, soffiando via quel che ho perso, riprendendomi il mio entusiasmo, lasciando ai margini del viale, vicino alle cascine, la polvere delle cose andate.
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