martedì 18 aprile 2017

Giorno settantuno: la bicicletta lilla.

Ho sempre avuto una sorta di adorazione per la mia bicicletta, a partire da quel giorno del mio tredicesimo compleanno in cui mi fu regalata.

La mia bici è lilla e bianca, ha un bellissimo cestino di vimini e mi ha accompagnata un po' ovunque.

Quando ero piccola passavamo insieme le estati in cortile a fare sempre lo stesso giro intorno al condominio.
Eravamo cinque bambini, quando ancora si usava passare i pomeriggi insieme sotto casa giocando a pallone o a nascondino.
Le nostre bici avevano tutte un soprannome e ci piaceva immaginarle come cavalli velocissimi sui quali fare lunghi viaggi nella canicola di Luglio.
Inventavamo storie, le interpretavamo, le vivevamo.
Senza saperlo eravamo scrittori, registi e attori.
Non ricordo noia, ma solo un'infinita fantasia con cui riempivamo le giornate.
C'erano poi i periodi tematici: il mese in cui ci eravamo invaghite del punto croce, quello in cui avevamo messo in piedi una specie di storia a puntate dedicata ad una saga famigliare, l'Agosto dei sedici palloni persi dietro al muro di cinta, l'anno della pallavolo e quello dell'Inglese a fascicoli.
E le nostre bici erano sempre con noi.

Fino al giorno in cui quel Settembre di non so quanti anni fa, decisi di portarmela in città, perché tanto, ormai, le estati le passavo altrove.

La mia bici è rimasta per anni in cantina, tristemente rassegnata all'indifferenza che ho ingiustamente nutrito nei suoi confronti per troppo tempo, fino a quando un giorno, dopo vari tentativi morti sul nascere, mi sono decisa ad andare all'università in bici.
Certo, usare la bici in città è molto diverso, ma è bastato davvero poco a lasciar rifiorire quella stessa sensazione di libertà che sentivo sulle due ruote anni addietro.
Ci sono mille motivi per cui la bici è il miglior modo per spostarsi in una città piana come la mia: se arrivi, arrivi prima che in macchina, fai movimento e intanto hai tempo di ascoltare la tua musica preferita, guardarti intorno, fare piacevoli incontri sulle piste ciclabili.
Vero, ci sono altrettanti motivi per cui usare la bici in città è davvero insopportabile e pericoloso, ma visto che le due ruote, insieme alle mie gambe, sono tra i miei mezzi di spostamento preferito, non posso far altro che concentrarmi su quello che di bello può darmi muovermi in questo modo.

Per un periodo andavo in bici ovunque: i chilometri erano almeno venti ogni giorno, stavo meglio ad ogni pedalata, non so esattamente se per via di quella storia che fare movimento libera endorfine o semplicemente perché i ciclisti che incrociavo erano mediamente piuttosto interessanti, ma arrivano a casa stremata e felice, con una voglia di fare pari a pochi altri periodi della mia vita.

E così, oggi, dopo la consueta pausa invernale - brutta abitudine che vorrei aver la forza di cancellare, prima o poi!- ecco che finalmente rispolvero la mia bici.
Le prime pedalate sanno sempre di bellezza ritrovata e libertà.
Mentre mi lascio andare senza pedalare sulla discesa verso il fiume, il vento in faccia mi ricorda quanto sia meraviglioso muoversi su due ruote.
Percorro un tratto piuttosto breve, ma sufficiente a farmi tornare il sorriso e la certezza che quelle maledette due rampe della cantina con il "dolce" peso della mia bici sulle braccia, resteranno solo un piccolo dettaglio fastidioso che saprò ignorare ancora.

La mia bici deve portarmi in molti altri posti, voglio la sua compagnia per lungo tempo ancora e forse anche lei inizia a desiderare una compagna di giochi, proprio come quelle che aveva negli interminabili e lontani pomeriggi di tanti anni fa, quando ogni cosa era ancora immersa nella perfezione delle cose immaginate.






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