mercoledì 12 aprile 2017

Giorno sessantasette: Le prime scarpe aperte.

L'amore prima dei social era tutt'altra cosa.
Soprattutto, prima dello smartphone.
E anche di Facebook.

Dimenticare era un esercizio che richiedeva volontà, certo, ma soprattutto un po' di tempo.
Bastava questo e in breve si era pronti, non dico per cancellare quel che era stato, che poi nemmeno è giusto, ma almeno per voltare pagina ed eventualmente iniziare un capitolo nuovo.

Oggi, metter la parola fine ad una storia è diventato una replica degli sforzi di Sisifo: quando credi di aver faticato abbastanza per spingere il tuo masso fino in cima alla montagna, ecco apparire una foto sospetta, un aggiornamento di stato ambiguo, un online di troppo e il masso, diventato sempre più pesante per l'energia già impiegata nella salita, torna a rotolare giù dal pendio. E con lui la speranza di portare a compimento il tuo lavoro.

Normalmente scelgo di cancellare dal mio mondo virtuale ogni traccia di ex, in quanto non facente più parte della mia vita reale.
Via!
Pulisco, archivio -magari salvo anche qualcosa- ma poi elimino per evitare di ricadere nella trappola masochistica dell'infinito non concluso.
Niente come qualcosa di ancora aperto, non definito, senza punti a capo, può far male quando si ha ancora in testa una persona.
Questa volta, però, non ce l'avevo ancora fatta.

Così oggi decido di farmi un regalo, forse il più bel regalo degli ultimi dieci mesi: cancellare un numero dalla mia rubrica.
Un numero che è un nome.
Un nome che è una Persona.
Un nome che per troppo tempo è apparso accanto all'icona tonda con dentro la cornetta, in alto sul display del mio telefono.
Un'icona che deve smettere di far capolino su questo schermo.
Non basterà a smettere di pensare a lui, non sono così ingenua da illudermi di questo, ma almeno smetterò di provare la tentazione di scrivergli, di rispondere o di guardare quando è connesso, come tutti, si sa, facciamo.
Anche quelli che dicono di non farlo.

Mentre ragiono sulla questione, me ne vado a spasso con il primo paio di scarpe (quasi) aperte dell'anno e per la prima volta, senza calze.
Adoro stare scalza: la prima cosa che faccio appena entro in casa è liberare i miei piedi.
Amo sentire il pavimento sotto di me, la base concreta a cui ancorarmi, la terra che mi salva riportandomi giù quando la mia tendenza a galleggiare tra le nuvole riaffiora pericolosamente.
I portici sono pieni di gente, alcuni di fretta, altri più rilassati dediti alle chiacchiere o a un gelato da passeggio.

Oggi è il mio primo giorno di vacanza e l'aria che respiro me lo ricorda.
Tutto pare suggerirmi che anche se ho una mole immensa di cose da fare, non accadrà nulla di grave se per questo pomeriggio fingo che non sia così e mi concedo un po' di tempo per me.

Oggi è il primo giorno di vacanza e anche il primo giorno di vacanza da qualcosa che non voglio più, da qualcosa che mi ha risucchiato troppe energie e che è giunto il momento di archiviare.
Oggi libero la mia testa da un pensiero che ha occupato troppo spazio, così come libero i miei piedi dal fastidio delle calze.
Oggi smetto di costringermi dentro a scarpe troppo strette, in attesa di tornare a Sentire veramente, posando i piedi scalzi su qualcosa di fresco e nuovo.









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