martedì 21 marzo 2017

Giorno quarantanove: la teoria del parcheggio sotto casa.

Ventun Marzo, ufficialmente primo giorno di primavera, giornata dedicata alla poesia.
Martedì Ventun Marzo, per la precisione, ovvero solo il secondo giorno della settimana, eppure sento già la stanchezza di tutto l'anno sulle spalle.

Ma è una stanchezza bella, di quelle che sanno di cose fatte, di pienezza e quindi chi se ne importa se dopo lavoro devo ancora impartire due ore di lezione extra di una materia che, detto tra noi, non mi è mai piaciuta e più tardi attraversare il traffico in macchina all'ora della follia quotidiana, quell'ora in cui solitamente mi muovo solo a piedi o con i mezzi pubblici proprio per evitarlo e infine, arrivare a casa e avere mezz'ora per cucinarmi una pasta e mangiarla al volo, prima di rimettermi in macchina e andare dall'altra parte della città ad un interessantissimo workshop fotografico dal titolo emblematico "Io progetto me" per rincasare, infine, alle undici passate.
Poco importa quando tutto questo si fa con la voglia di farlo, nonostante la stanchezza, nonostante il tizio dietro che appena scatta il verde ti suona insultandoti, nonostante tutto.

È bella la mia città di notte, soprattutto nelle sere di primavera in cui l'aria si fa tiepida e s'iniziano a tenere abbassati i finestrini, anche solo di qualche dito.
Bella ancor di più quando percorri il corso lungo il fiume e tra gli alberi sui marciapiedi scorgi il parco, il castello, le luci del palazzo di Architettura, ma soprattutto i ponti.
I ponti di Torino sono meravigliosi, illuminati nella notte ancor di più.
La mia è una città d'acqua, "La città dei quattro fiumi", così si intitola un meraviglioso libro di immagini di un grande fotografo che ho avuto la fortuna di conoscere, Dario Lanzardo l'ha raccontata splendidamente nelle sue foto che sanno di maestosa bellezza e squallido abbandono, passando dai luoghi più conosciuti ed eleganti del centro agli angoli dimenticati ai margini delle periferie.
La mia città è una città d'acqua, nonostante non abbia il mare. Dell'acqua possiede il magnetismo, la sensualità femminile dell'elemento liquido, la nostalgia lieve delle mattine di nebbia sul fiume.
Ho sempre avuto un debole per le città attraversate da un fiume, mi sembrano più complete, più materne, più accoglienti.

Torino poi, ultimamente ha questa cosa che pare vada di moda.
Roba da non crederci! Fino a qualche decennio fa quando ne parlavi immediatamente scattava tutto il repertorio sulla triste e grigia città industriale.
Adesso è tutto cambiato.
O così pare, forse così vogliono farci credere.
Al vero torinese, che diciamocelo, è un tipo strambo, piuttosto sotto le righe, a cui non piace molto essere notato, un po' fa piacere che qualcuno si sia accorto di quanto sia bella la sua città, ma un po' quasi lo infastidisce, si sente come se improvvisamente degli sconosciuti avessero invaso il salotto di casa sua senza nemmeno fare una telefonata per avvisare della visita.

Io sono una torinese un po' atipica.
Forse per questo, il fatto che si parli di Torino sulle più note riviste di viaggi, sui siti di tutto il mondo e che addirittura sia stata inserita nelle classifiche delle città più belle da visitare al mondo, non fa altro che riempirmi d'orgoglio.
La vivo un po' come una sorta di rivalsa: finalmente anche la mia città si è fatta notare!
Credo che si finisca sempre un po' per somigliare ai luoghi in cui viviamo, forse anche per questo mi identifico nei panni di chi finalmente, dopo un lungo restarsene assopita senza il desiderio di mostrarsi, un giorno si sveglia più bella nella consapevolezza di ciò che ha e non solo di quello che le manca e pronta a far valere le sue bellezze se ne va in giro a testa alta.

Così, dicevo circa mezza pagina fa, me ne torno a casa facendo queste riflessioni, persa nel fascino del nuovo volto della mia città e un po' anche nella sorpresa del mio.
E mentre saltello da un pensiero all'altra senza farci caso mi dirigo sicura verso casa alla ricerca di un parcheggio.
Vivo in una zona in cui trovare un posto dove lasciare la propria macchina è facile come scalare una montagna in infradito.
Però, contrariamente a quanto ero solita fare fino a qualche anno fa, la ricerca del parcheggio inizia proprio dalla mia via, dal posto più vicino al mio portone. E non si tratta di una questione di pigrizia, nient'affatto, quanto piuttosto di un cambio di prospettiva.
Un tempo parcheggiavo lontano, non prendendo nemmeno in considerazione la possibilità che un posto più comodo potesse esserci e mi dicevo che anche se ci fosse stato, sicuramente non sarebbe stato per me, che qualcuno più furbo o più veloce me lo avrebbe preso e quindi non aveva senso perder tempo.
Oggi invece ho capito che se cerchiamo qualcosa dobbiamo concederci di trovarlo, credere fermamente che possiamo trovarlo e che ce lo meritiamo.
Concedersi il diritto di avere quello che desideriamo è il primo passo verso la realizzazione di sé, questo mi hanno insegnato le porte in faccia. Se non siamo noi i primi a farlo, nessuno lo farà al nostro posto.

Concedersi il diritto e crederci.
Anche quando si tratta di un semplice parcheggio.

E infatti, trovo posto esattamente sotto casa.




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