giovedì 30 marzo 2017

Giorno cinquantasei: la bellezza del riccio.

Non ci sono cose più soggettive della bellezza.
Lo sappiamo bene tutti.
Eppure spesso ce ne dimentichiamo.

Succede perché siamo schiacciati da un modello di bellezza preconfezionato, appiattito dal conformismo, da una logica estetica che lascia poco spazio al gusto personale.
Si tratta di una bellezza che risponde a canoni di perfezione irreali dettati da qualcuno che decide al posto nostro.
Pare sia sempre stato così: eppure, molte volte, tornare a sentire la bellezza, quella vera, ascoltare solo la nostra bussola estetica, credo sia un atto dovuto.
Parlo di qualcosa che dobbiamo a noi stessi per primi e poi a chi ci gravita intorno.

Personalmente ho sempre apprezzato di più il fascino che la bellezza.
Spesso mi sono invaghita- o anche innamorata- di uomini con tratti imperfetti o difetti evidenti che per me erano solo meravigliosi tratti di unicità. Questa non vuole essere un'ode ipocrita alla bruttezza, sono una donna innamorata del bello in tutte le sue declinazioni, ma allo stesso tempo credo che sia compito nostro restituire il giusto significato a questa parola così preziosa.

Riflettevo su questo nel primo pomeriggio, mentre passeggiando sull'assolata spiaggia improvvisata del parco, mi sono imbattuta in un'ultra settantenne che prendeva il sole.
Non si poteva di certo definire una donna attraente, eppure nel coraggio di quel gesto così sfrontato, nella noncuranza di chi "a una certa età" indossa un costume e si sdraia a godersi il primo caldo lungo le sponde di un fiume molto frequentato, io ci ho visto libertà e nulla più di questo può essere considerato Bello.

Ho pensato a quante volte mi sono sentita inadatta, troppo poco carina, poco attraente.
Poi subito dopo, ho pensato a quante persone, invece, per il semplice fatto di sentirsi a loro agio nel loro corpo, con tutte le infinite imperfezioni del caso, vengano viste come belle dal di fuori.

Ecco, mi sono detta, devi imparare ad abbassare le pretese verso te stessa.

Sono estremamente generosa quando si tratta degli altri: pronta a comprendere, ad ammirare e a vedere magia anche dove a volte non c'è.
Ma quando sono io sotto la lente d'ingrandimento del mio occhio, divento il giudice più spietato che ci sia.
Forse, mi ripetevo senza staccare lo sguardo dalla bandana rossa della signora, anche lei un tempo non si apprezzava poi così tanto.
Magari è una cosa che si impara con gli anni o molto più semplicemente, arriva un momento in cui riusciamo a proiettare su noi stessi tutta quella meraviglia che eravamo abituati a riservare agli altri.
Arriva un giorno in cui tutta la generosità che abbiamo sprecato, anche verso chi non la meritava, impariamo a tenerla in serbo per noi, a diventare più dolci, prima di tutto, verso noi stessi.

La signora con la pelle caramellata mi ha ricordato che ci vuole coraggio per innamorarsi di sé, ma che se lei non lo avesse fatto, ad esempio, si sarebbe persa questo pomeriggio paradisiaco di fine Marzo, i musicisti che provano con il sax sulla sponda opposta, le canoe che scivolano lente sull'acqua.

Per amare tutto il resto bisogna partire da noi.
Questa è la sola regola certa.
Non può esserci amore senza amor proprio, non può esistere bellezza più grande di quella che sappiamo ritrovare nella nostra unicità.
Dovrebbero insegnarcelo quando siamo piccoli, sin da subito.
Ci provo ogni giorno, quando entro in classe.

Chissà se un pomeriggio di fine Marzo che sembra Maggio, qualcuno dei miei alunni, incontrandomi distesa al parco, vecchia e arrostita dal sole, penserà a quanto io sia bella nel mio essere Libera.

Questo è l'augurio che mi faccio oggi, in questo Giovedì di bellezza inusuale.





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