Mi piace la città con il suo flusso
costante di sconosciuti che mi fanno compagnia per le strade ampie,
amo camminare con il naso all'insù a spiare dalle finestre le vite
degli altri.
Mi piacciono le piazze, soprattutto
quelle piccole e nascoste, i bar di quartiere brulicanti di vita
rumorosa, i semafori lampeggianti sul lungo Po nella notte.
Non potrei vivere lontana dalla città,
dalle sue storie, dalle mille opportunità che si dipanano davanti agli
occhi quando una volta usciti dalla porta di casa, ci lasciamo
andare- senza opporre resistenza- tra le onde del nuovo giorno.
Nonostante ciò, mi piace moltissimo anche la
campagna che mi riporta alla mie radici, amo i silenzi delle
camminate in montagna e le spiagge vuote d'inverno.
Credo semplicemente che i luoghi dove
viviamo dicano molto di noi e che ad ogni epoca della nostra vita
corrisponda una dimensione diversa.
Adesso per me è tempo di città.
Forse
verrà un momento in cui mi stancherò dell'incessante movimento
delle stazioni e degli autobus con i loro passeggeri stipati, dei
mercati rionali -condensati di vita disordinata- dei locali che aprono e
chiudono con una velocità a cui non riesci a stare dietro e allora,
solo allora, quando ne avrò abbastanza di tutto questo, mi ritirerò
in un'altra dimensione.
Forse.
Nel frattempo, di tanto in tanto, sento
forte la necessità di lasciarmi andare ad altri ritmi, di
riappropriarmi della lentezza che vive solo lontana dalla città,
degli odori della terra che ormai ho dimenticato.
Ho passato molte estati della mia
infanzia a casa dei nonni, in campagna.
Ricordo quando giocavo a raccogliere i
papaveri ancora chiusi e indovinare se dentro fossero bianchi o
rossi. Lo facevo con nonna, così come preparare la torta Margherita
o curiosare insieme a lei nel baule della biancheria.
C'erano le merende con il pane
strofinato di pomodoro, olio e sale, i giochi tra i noccioli, i
pomeriggi in cortile tra le galline e i gatti a giocare con abiti
dismessi. Li usavamo per vestire i nostri personaggi sempre nuovi,
nel gioco incessante dell'essere qualcun altro. Le maschere, le mille
personalità, il gioco che poi ci si porta dietro per tutta la vita,
lo si impara da bambini, recitando senza saperlo mille parti diverse.
E poi c'era il canto del cuculo nei
pomeriggi torridi, l'unico suono che da solo è in grado di
restituirmi tutto il mio essere bambina, coi capelli lunghi e rossi,
molto più rossi di adesso. Riascoltarlo, persino oggi, ha sempre lo
stesso effetto di strano sortilegio capace di fermare il tempo.
Dicevo, oggi mi concedo una parentesi
in campagna, una giornata intera in un eco-villaggio, che in parte è
tentativo di rispondere a una mia curiosità e in parte è un regalo
che mi faccio per tornare a respirare un po' di calma.
C'è l'accoglienza dei ragazzi che
abitano lì, una bella atmosfera di concretezza, il desiderio di
scoprire qualcosa di diverso provando a non giudicare, ma mettendosi
dalla parte dell'osservatore che guarda senza emettere sentenze.
Questo è sempre l'esercizio più difficile che ogni giorno provo a ripetere con risultati altalenanti.
Dopo le presentazioni ha inizio una
bella camminata nel bosco: un bosco magico, uno degli ultimi della
zona. Intorno tanto silenzio, le colline verdi nel risveglio della
primavera, un cielo pulito e l'assenza di fretta.
Interessante confrontarsi con qualcuno
che abbia deciso di vivere in modo diverso la nostra epoca e anche
quando non ci si trova d'accordo, è bello vedere come le persone,
con le loro mille sfaccettature, i loro sguardi e le loro storie,
abbiano sempre qualcosa di prezioso da offrirci, semplicemente
raccontandosi.
Così si cammina, liberandosi dai
pensieri, faticando sulle pendenze ricoperte di fango e fogliame
secco, si fatica, ma quando si arriva al borgo dove i ragazzi stanno
costruendo il loro villaggio recuperando un vecchio casolare
abbandonato, ci si sente soddisfatti e pieni. Pieni di qualcosa che non si sa definire, ma qualcosa di bello.
E mentre poco dopo, una quindicina di
persone diversissime tra loro per origine, età e percorsi di vita si
ritrovano seduti un po' ovunque tra i cortili del borgo a gustare una
prelibata pizza appena sfornata e parlare, c'è aria di famiglia e di festa.
Sembra un lunedì di Pasquetta insieme agli amici di sempre, c'è la
sensazione di quando si sta bene in un contesto diverso, eppure a noi
famigliare.
Il calore della giornata ci fa
compagnia fino a sera, quando tra le ultime chiacchiere e una tisana
ci salutiamo portandoci via un sorriso e la sensazione di aver
respirato di nuovo, di essere semplicemente tornati un po' a noi
stessi.
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