domenica 12 marzo 2017

Giorno trentanove: la casa rotta.

Sono una bestia metropolitana, così amo definirmi.
Mi piace la città con il suo flusso costante di sconosciuti che mi fanno compagnia per le strade ampie, amo camminare con il naso all'insù a spiare dalle finestre le vite degli altri.
Mi piacciono le piazze, soprattutto quelle piccole e nascoste, i bar di quartiere brulicanti di vita rumorosa, i semafori lampeggianti sul lungo Po nella notte.
Non potrei vivere lontana dalla città, dalle sue storie, dalle mille opportunità che si dipanano davanti agli occhi quando una volta usciti dalla porta di casa, ci lasciamo andare- senza opporre resistenza- tra le onde del nuovo giorno.
Nonostante ciò, mi piace moltissimo anche la campagna che mi riporta alla mie radici, amo i silenzi delle camminate in montagna e le spiagge vuote d'inverno.
Credo semplicemente che i luoghi dove viviamo dicano molto di noi e che ad ogni epoca della nostra vita corrisponda una dimensione diversa.
Adesso per me è tempo di città. 
Forse verrà un momento in cui mi stancherò dell'incessante movimento delle stazioni e degli autobus con i loro passeggeri stipati, dei mercati rionali -condensati di vita disordinata- dei locali che aprono e chiudono con una velocità a cui non riesci a stare dietro e allora, solo allora, quando ne avrò abbastanza di tutto questo, mi ritirerò in un'altra dimensione.

Forse.

Nel frattempo, di tanto in tanto, sento forte la necessità di lasciarmi andare ad altri ritmi, di riappropriarmi della lentezza che vive solo lontana dalla città, degli odori della terra che ormai ho dimenticato.

Ho passato molte estati della mia infanzia a casa dei nonni, in campagna.
Ricordo quando giocavo a raccogliere i papaveri ancora chiusi e indovinare se dentro fossero bianchi o rossi. Lo facevo con nonna, così come preparare la torta Margherita o curiosare insieme a lei nel baule della biancheria.
C'erano le merende con il pane strofinato di pomodoro, olio e sale, i giochi tra i noccioli, i pomeriggi in cortile tra le galline e i gatti a giocare con abiti dismessi. Li usavamo per vestire i nostri personaggi sempre nuovi, nel gioco incessante dell'essere qualcun altro. Le maschere, le mille personalità, il gioco che poi ci si porta dietro per tutta la vita, lo si impara da bambini, recitando senza saperlo mille parti diverse.
E poi c'era il canto del cuculo nei pomeriggi torridi, l'unico suono che da solo è in grado di restituirmi tutto il mio essere bambina, coi capelli lunghi e rossi, molto più rossi di adesso. Riascoltarlo, persino oggi, ha sempre lo stesso effetto di strano sortilegio capace di fermare il tempo.

Dicevo, oggi mi concedo una parentesi in campagna, una giornata intera in un eco-villaggio, che in parte è tentativo di rispondere a una mia curiosità e in parte è un regalo che mi faccio per tornare a respirare un po' di calma.

C'è l'accoglienza dei ragazzi che abitano lì, una bella atmosfera di concretezza, il desiderio di scoprire qualcosa di diverso provando a non giudicare, ma mettendosi dalla parte dell'osservatore che guarda senza emettere sentenze. Questo è sempre l'esercizio più difficile che ogni giorno provo a ripetere con risultati altalenanti.
Dopo le presentazioni ha inizio una bella camminata nel bosco: un bosco magico, uno degli ultimi della zona. Intorno tanto silenzio, le colline verdi nel risveglio della primavera, un cielo pulito e l'assenza di fretta.
Interessante confrontarsi con qualcuno che abbia deciso di vivere in modo diverso la nostra epoca e anche quando non ci si trova d'accordo, è bello vedere come le persone, con le loro mille sfaccettature, i loro sguardi e le loro storie, abbiano sempre qualcosa di prezioso da offrirci, semplicemente raccontandosi.
Così si cammina, liberandosi dai pensieri, faticando sulle pendenze ricoperte di fango e fogliame secco, si fatica, ma quando si arriva al borgo dove i ragazzi stanno costruendo il loro villaggio recuperando un vecchio casolare abbandonato, ci si sente soddisfatti e pieni. Pieni di qualcosa che non si sa definire, ma qualcosa di bello.
E mentre poco dopo, una quindicina di persone diversissime tra loro per origine, età e percorsi di vita si ritrovano seduti un po' ovunque tra i cortili del borgo a gustare una prelibata pizza appena sfornata e parlare, c'è aria di famiglia e di festa. Sembra un lunedì di Pasquetta insieme agli amici di sempre, c'è la sensazione di quando si sta bene in un contesto diverso, eppure a noi famigliare.

Il calore della giornata ci fa compagnia fino a sera, quando tra le ultime chiacchiere e una tisana ci salutiamo portandoci via un sorriso e la sensazione di aver respirato di nuovo, di essere semplicemente tornati un po' a noi stessi.









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