mercoledì 15 marzo 2017

Giorno quarantatré: pictures of you.

Quando per anni immagini la tua prima casa pensi a ogni minimo dettaglio: fantastichi sul colore delle pareti, su come decorare il terrazzino, pensi ai cuscini che popoleranno il divano, immagini lo zerbino, le tazze nella vetrinetta, la forma degli specchi.

Qualche giorno fa, rovistando tra vecchie carte e diari ho trovato un appunto che recitava all'incirca così: "Ho voglia di un minuscolo nido dove rifugiarmi. Mi bastano quattro mura appena, dei gatti acciambellati sulle mie gambe, una parete di libri e tante foto appese."

Posso affermare senza ombra dubbio di esser rimasta fedele al mio desiderio e scendendo a patti con la realtà -accettando qualche inevitabile compromesso- il mio minuscolo nido me lo sono creato tale e quale a quello descritto in quelle poche righe.
La forza dei desideri è potentissima, soprattutto quando accarezzi a lungo l'idea di qualcosa e nell'attesa lo crei nella tua testa molto prima di vederlo realizzato.
Dell'oggetto desiderato curi ogni dettaglio: ne assapori la luce, senti il suo profumo che ti pervade, lo sfiori con delicatezza, fermamente convinto che un giorno sarà tra le tue mani.

Poi quel giorno arriva, dopo anni di case condivise, camere in subaffitto, coinquilini che parlano altre lingue. Arriva dopo anni in cui sei cresciuta e il tuo mondo, la tua vita, non ci sta più in una sola stanza, le convivenze iniziano a starti strette, vuoi il tuo spazio.
Sono giorni convulsi di scatoloni e fatica, scale fatte e rifatte mille volte, giorni in cui entri in una casa vuota che lentamente prende forma: le quattro pareti si accendono dei tuoi colori, arrivano due gatti. I libri disposti in file disordinate, senza seguire un apparente filo logico, riempiono i ripiani delle librerie.

Solo una cosa manca: le foto al muro.

Manca una cosa che non è casuale.
No, non è un caso che a mancare, dopo molto tempo, ormai, siano ancora le foto alla parete.
Hai sempre amato fotografare, l'obiettivo è un terzo occhio che ti segue ovunque tu vada.
Fotografi con gli occhi, prima che con la reflex, prima che con il cellulare, prima che con la vecchia Holga sgangherata, prima che con la tua macchina analogica.
Fotografi in continuazione, mentre cammini tutti i giorni e trovi particolari, dettagli, attimi, sguardi, espressioni, volti, colori, cieli, balconi popolati di anziani, luci accese nella notte.
Fotografi mentre prendi il pullman, quando parli a scuola con gli occhi meravigliati dei tuoi bambini, mentre siedi in un bar con il giornale aperto e non riesci a leggere, distratta dall'incessante quantità di immagini che ti girano intorno: avventori frettolosi, tazzine usate sul bancone, le braccia scolpite del barista, il cappello del vecchio, la mano della cameriera che ti porta il tuo cornetto.

Perché mancano ancora le foto alle pareti?

Te lo chiedi da un po'.
Mille volte ti sei detta che quel giorno libero che avevi, quel fine settimana, quel mese intero di vacanza lo avresti dedicato a scegliere, stampare, incorniciare e appendere le foto.
Ma non lo fai mai, non ti decidi.
Forse ci sono troppe foto che ami, forse solo non hai ancora imparato a scegliere, perché fino ad oggi, alla fine, hai sempre lasciato che a scegliere fossero gli altri.
Fino ad oggi, appunto.
Oggi infatti ti sei ritagliata qualche minuto di tempo per iniziare a guardarle quelle immagini e riguardandole ti sorprendi di tutta la vita che custodiscono.
Tornano le sfumature che avevi dimenticato, quelle di un pranzo in campagna sull'erba con una bottiglia di rosso, gli amici e la bici,  tornano i colori del mare in inverno, le tue orme e il bianco della schiuma. Torna l'odore di quel pomeriggio per le strade di Lisbona a mangiar pasteis de nata, il vento sul Tago, le terrazze di Madrid, quelle dove se alzi un dito tocchi il cielo.
Tornano i profili nei ritratti, gli occhi che ti scavano dentro, il nero di certi sguardi, il bianco di certe notti in bianco.
Torna quella volta in cui la montagna non era più un posto noioso, ma un concentrato di bellezza e vertigine sotto cui si apriva una libertà tutta nuova. Torna quella mattinata al mercato delle pulci insieme ad un'amica, quando sei tornata a casa con una valigia anni settanta e un tavolino di vimini trasportato sul tram che attraversa l'intera città, tornano volti che avevi perso, luoghi sbiaditi.
E torna anche la voglia di sviluppare quell'ultimo rullino che hai quasi finito, quella pellicola che è rimasta imprigionata nel corpo nero della macchina da ormai otto o nove mesi e le foto che hai scattato in tutto questo tempo nemmeno te le ricordi.
Forse era questa la bellezza dell'analogico.
Credo che sia giunto il momento di scoprire cosa racchiude e da qui ripartire per portare a termine il mio lavoro fotografico.


Le mie pareti sono stanche di sentirsi così nude, chiedono immagini che raccontino storie a riempirle di bellezza.

Il primo passo è già stato fatto.

Oggi.




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